Regia di Bruno Chiaravalloti, Claudio Jampaglia, Benedetta Argentieri

Joshua (30 anni) è un ex marine del North Carolina che ha deciso di andare a sostenere i combattenti curdi nell’area della Siria che l’Isis cerca di occupare. Lo stesso ha fatto Karim Franceschi (27 anni) raggiungendo Kobane così come Rafael (28 anni) di origini curdo-irachene e residente in Svezia. Il documentario ce ne propone le motivazioni e li segue nei luoghi dei combattimenti.
La dizione “foreign fighter” si associa ormai per abitudine a coloro che, abilmente indottrinati da emissari dell’integralismo jihadista, lasciano la loro quotidianità per andare ad ingrossare le file dei terroristi dell’Isis ovunque essi siano in azioni di guerra. Questo documentario di Argentieri, Chiaravalloti e Jampaglia ci invita a considerare che in realtà si tratta di una definizione di comodo tendente alla semplificazione. Perché ci sono anche combattenti che si schierano sul fronte opposto. La storia ci ricorda che nel 1936 in Spagna accadde la stessa cosa. Non furono solo gli Stati (con modalità e impegno diversi) ad andare a sostenere l’una o l’altra delle parti in lotta ma anche semplici cittadini di varie nazionalità. Chi volesse conoscerne le motivazioni può vedere o rivedere Terra e Libertà di Ken Loach. Perché è proprio sulle motivazioni delle tre persone, a cui viene dato modo di raccontare la propria esperienza, che si finisce con il porre l’attenzione. C’è chi si è sentito ribollire il sangue quando ha visto fucilare dall’Isis dei bambini in un video (Rafael), chi è ancora un comunista duro e puro pronto a combattere per gli oppressi (Karim) e chi aveva bisogno di trovare un luogo in cui potersi trovare in guerra senza essere sottoposto a una rigida disciplina (Joshua). È proprio da quanto dice di sé l’ex marine che può nascere una domanda estensibile anche agli altri due e che è sintetizzabile in una sola parola: perché?