Regia di Patricio Guzmán
Da un parallelepipedo di quarzo, che contiene al suo interno dell’acqua che risale a millenni fa, si prendono le mosse per riflettere sull’elemento liquido che sta alla base della vita nell’universo e che consente di parlare della storia passata e più recente del Cile.
Patricio Guzmán ci propone con questo suo documentario una lettura che prende le mosse da uno dei quattro elementi primigeni analizzato nella sua fondamentale rilevanza per la formazione delle culture. Ciò che più gli sta a cuore è rileggere la Storia della sua terra, il Cile, che è il più vasto arcipelago nel mondo con 2.670 km di coste. Per farlo parte da lontano, dalla preistoria addirittura e da una scienza che proprio in Patagonia trova il terreno fertile di esplorazione: l’astrofisica. Il suo obiettivo però si manifesta, progressivamente e in una sorta di cerchi concentrici rovesciati rispetto a quelli prodotti dal lancio di un sasso nell’acqua. Perché se quelli manifestano una tendenza centrifuga Guzmán si rivela interessato esattamente al suo opposto. Perché intorno all’acqua i nativi avevano costruito la loro civiltà che i conquistadores bianchi si sono premurati di estirpare tanto che oggi di essi restano solo 20 discendenti che conservano un ricordo della cultura primigenia. Ma ciò che finisce con il costituire il motore di questo intrigante documentario è ancora una volta il bisogno di non cancellare il ricordo di un eccidio più recente: quello del regime di Pinochet perpetrato nei confronti di cittadini inermi colpevoli solo di essere considerati’comunisti’ perché oppositori di un dittatore. È stato ancora una volta l’Oceano a divenire sepolcro di innumerevoli desaparecidos lanciati dai velivoli affinché i familiari non potessero avere neppure una tomba per piangerli. Un bottone di perla trovato nei suoi fondali può allora costituire una testimonianza preziosa: l’occasione per non dimenticare.