Regia di Julie Cohen (II), Betsy West.

Interpreti: Ruth Bader Ginsburg, Gloria Steinem, Nina Totenberg, Clara Spera, Gloria Steneim.

Nata a New York nel 1933, Ruth Bader Ginsburg (per brevità RBG) è stata la seconda donna – dopo Sandra Day O’Connor, in carica dal 1981 al 2005 – a essere nominata, da Bill Clinton, nel ’93, tra i nove componenti della Corte Suprema. Negli ultimi anni quest’anziana, minuta signora, voce vellutata e occhi che inceneriscono, è oggetto di molta attenzione da parte dei mass media nazionali. Il fronte democratico vede in lei – che su Trump si è espressa con un certo scetticismo fin dal 2016, ancora prima che venisse eletto – un simbolo della resistenza alla deriva ultraconservatrice e autoritaria della sua presidenza. Ma già nel 2015 le era stato dedicato un tumblr, seguito dal libro Notorious RBG di Irin Carmon e Shana Knizhnik. Che, parafrasando il nome d’arte del celebre rapper Notorious B.I.G., originario anche lui di Brooklyn, la consacra anche tra le giovani generazioni come esempio di emancipazione civile («Mia madre non faceva che ripetermi due cose: sii gentile e sii indipendente», racconta la giudice). Poi l’imitazione di Kate McKinnon al Saturday Night Live, tutta impostata sul contrasto tra apparenza docile e volontà ferrea, corporatura fragile e piglio cool di chi non molla mai (che la trasforma in “gangsta”). L’appoggio di un anchor man come Stephen Colbert, che per esaltarne la figura ha inscenato con l’anziana giudice perfino una sessione in palestra (uscendone ovviamente sconfitto).