A cura di Francesco Bonami

1 giugno 2007 – 23 settembre 2007

 

Giugno 2007. Gli ampi spazi bianchi della Fondazione sono sospesi in un’atmosfera di quiete. Il pavimento delle sale espositive è interamente ricoperto da una moquette nera che attutisce i passi dei visitatori. Ciascuno di loro ha a disposizione delle cuffie per muoversi nello spazio e connettersi, procedendo nel percorso, con la moltitudine di opere presenti.

Silenzio. Una mostra da ascoltare proponeva una sottrazione al dominio dell’immagine a favore del suono, della voce, dell’udito. Il titolo paradossale del progetto espositivo deriva da John Cage (1912-1992), compositore, artista e teorico, il cui ruolo nell’estensione dei confini di ciò che definiamo “musica” è stato fondamentale. In Silence, uno dei sui libri più influenti, edito nel 1961, Cage risemantizzava il silenzio, riconducendolo a tutto quell’infinito, casuale e quotidiano insieme di suoni e rumori che ci circonda. Il silenzio nella mostra non coincideva quindi con un rifiuto delle voci e dei corpi, dei suoni e dei rumori, ma funzionava come invito esplorare tutte le forme espressive che eludono il campo del visivo, manifestandosi come presenze invisibili.

Silenzio: installazioni, video, oggetti sonori e tracce audio, di cinquanta artisti, per un totale di più di venti ore d’ascolto. Attraverso un audioplayer connesso a cuffie, il visitatore poteva scegliere cosa, quando e per quanto tempo ascoltare. La mostra includeva opere di artisti come Vito Acconci, John Baldessarri, Christian Marclay, affiancate a riflessioni sul ruolo del suono nella cultura contemporanea con i lavori di Johanna Billing, Roberto Cuoghi, Jeremy Deller, Ceal Floyer, Terence Hannum, Susan Philipsz, Gillian Wearing, tra i molti altri. Una sala d’ascolto, proponeva brani di musica elettronica di autori contemporanei come Matmos, Aphex Twin, Pan Sonic e di pionieri come Varese, Stockhausen, Schaeffer, Maderna, Risset, Xenakis, Berio.

In questo periodo di quarantena abbiamo assistito a una proliferazione di contenuti digitali visivi, quando, dall’altra parte, la pericolosità del virus che ci costringe all’isolamento dipende proprio dalla sua invisibilità. Questo contrasto ha reso quanto mai evidente come il regime del visivo non sia quello più adatto a rappresentare la realtà. Questa nuova consapevolezza mette in discussione le categorie binarie di presenza-visibilità e di assenza-invisibilità, aprendo a nuove possibilità di costruzione di senso al di fuori del campo del visibile. Ripensando a Silenzio, le installazioni Dom-Tak-Tak-Dom-Tak (2005) di Hassan Khan e Mei Gui (2006) di Roberto Cuoghi, nei quali le uniche presenze erano le casse di amplificazione, aprivano già a questo ambito di riflessione.

In queste settimane di lockdown l’inquinamento acustico esterno si è ridotto ai minimi termini. Cage sostiene che anche nell’assoluta assenza di suoni, il silenzio non esiste: se ci trovassimo in un ambiente acusticamente isolato, sentiremmo comunque il battito del nostro cuore. Oggi possiamo forse ripensare alla dimensione uditiva interna di cui abbiamo appena fatto esperienza, a quell’attenzione alle azioni minime dei nostri corpi dentro i nostri appartamenti o nelle strade deserte. There is nothing left here (2006) di Susan Philipsz è la malinconica registrazione della voce di una donna all’interno della propria casa. I silenzi della protagonista svelano l’innegabile materialità che la sensazione di vuoto può raggiungere.

Silenzio. Una mostra da ascoltare ci offriva un cambio di prospettiva rispetto alle consolidate modalità di fruizione di una mostra, indagando ciò che è escluso dall’immagine o che non può essere ridotto a categorie visive. Seguendo questa riflessione, possiamo ora prefigurare nuovi strumenti che ci accompagnino nel nostro quotidiano, considerando ciò che non è riconducibile al nostro campo ottico per percepirne la presenza attraverso nuove sensibilità.

Artiste/i: Adel Abdessemed, Vito Acconci, Doug Aitken, Victor Alimpiev, Aphex Twin, Micol Assael, John Baldessari, Samuel Beckett, Johanna Billing, Marcel Broodthaers, John Cage, Janet Cardiff e George Bures Miller, Enrico Castellani, Martin Creed, Roberto Cuoghi, Jeremy Deller, Sussan Deyhim, Trisha Donnelly, Ceal Floyer, Gleen Gloud, Henrik Hakansson, David Hammons, Terence Hannum, William Hunt, Joris Ivens, Hassan Khan, Louise Lawler, Arto Lindsay, Christian Marclay, Matmos, Momus, Meredith Monk, Takeshi Murata, Carsten Nicolai, Luigi Nono, Kristin Oppenheim, Pan Sonic, Diego Perrone, Susan Philipsz, Stefano Pilia, Mika Ronkainen, Julian Rosefeldt, Anri Sala, Tino Sehgal, Johannes Stijärne e Ola Simmons, Karlheinz Stockhausen, Alberto Tadiello, Enzo Umbaca, Gillian Wearing, Artur Zmijewski.

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Time Capsule

Una rilettura delle mostre di Fondazione

Time Capsule è un percorso nella storia espositiva della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo che, attraverso la rilettura di una selezione di mostre, si propone di approfondire tematiche, prospettive e questioni che gli artisti hanno affrontato nel passato recente, mettendo in luce la loro rilevanza in relazione agli effetti dell’odierna condizione di isolamento e distanziamento sociale. Raccontiamo una mostra, dischiusa come una capsula del tempo per permetterci di interpretare le sue narrazioni con la consapevolezza di oggi. L’intento non è quello di soffermarci sulla capacità degli artisti di predire eventi futuri, quanto di riflettere sull’attualità di ricerche e pratiche artistiche nel presentare strumenti critici utili alla comprensione del complesso scenario che stiamo vivendo.