Josh Kline. Unemployment

4 novembre 2016 – 12 febbraio 2017

Novembre 2016. La mostra personale di Josh Kline “Unemployment” proiettava lo spettatore in un inquietante scenario futuro ambientato negli anni ’30 del 2000, non troppo diverso in realtà dalla situazione che viviamo tutti i giorni. Nell’universo distopico di Kline, la narrativa prevedeva che dopo la crisi del 2008 il sistema finanziario avrebbe subito una nuova ricaduta, provocando effetti e lacerazioni insanabili sul tessuto sociale e politico e sulla pelle delle lavoratrici e dei lavoratori di tutti i settori. La società statunitense è assunta dall’artista quale paradigma delle contraddizioni portate all’eccesso da decenni di deregolamentazione neoliberista, dalla “new economy” e dalla massiccia automazione nel campo della produzione e dei servizi garantita dalle nuove tecnologie.

In mostra, un insieme di installazioni e sculture raccontava con un ritmo incalzante l’altro volto della più grande democrazia occidentale: carrelli per le pulizie colmi di detersivi, insieme ai simulacri della presenza e dei corpi degli addetti alle pulizie, descrivevano la totale integrazione tra individuo e lavoro. Sculture di impiegati rannicchiati a terra in posizione fetale e avvolti da sacchetti di plastica equiparavano lavoratori rimasti senza lavoro a rifiuti da smaltire. Sfere di plastica trasparente a forma di particelle virali contenevano “scatole del licenziamento” – divenute simbolo della crisi del 2008 perché usate dai dipendenti licenziati dalla Lehman Brothers – interpretando la disoccupazione come una malattia da cui nessuno può dirsi immune.

In una mostra intitolata “Freedom” (2015) che rappresenta il capitolo precedente di “Unemployment”, Kline aveva presentato alcune installazioni costituite da repliche di ciambelle composte da proiettili, dollari e manette, con in evidenza il logo del dipartimento di polizia di New York, alludendo alle violenze perpetrate dalle forze dell’ordine nei confronti della comunità afroamericana.

In un mondo sull’orlo del collasso, la disoccupazione rappresentava una condizione di vita condivisa dai più, plasmata dagli interessi di pochi.
Riconsiderare oggi le prospettive critiche fornite da “Unemployment” e dal lavoro di Josh Kline appare come un esercizio quasi letterale: stiamo vivendo un momento storico in cui precariato e disoccupazione raggiungono indici non più tollerabili, e vediamo proprio in questi giorni come le violenze sistemiche perpetrate verso soggetti afrodiscendenti e comunità minoritarie vengono denunciate e orgogliosamente combattute in strada. Osservare le immagini della mostra ci permette di sollevare domande e riflessioni su quanto la nostra struttura economica e politica possa produrre gerarchie e prevaricazione nel corpo sociale.

Veduta della mostra “Josh Kline. Unemployment”, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino, 2016. Courtesy l’artista e Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

Time Capsule

Una rilettura delle mostre di Fondazione

Time Capsule è un percorso nella storia espositiva della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo che, attraverso la rilettura di una selezione di mostre, si propone di approfondire tematiche, prospettive e questioni che gli artisti hanno affrontato nel passato recente, mettendo in luce la loro rilevanza in relazione agli effetti dell’odierna condizione di isolamento e distanziamento sociale. Ogni lunedì, con la newsletter e sui canali social, verrà raccontata una mostra, dischiusa come una capsula del tempo per permetterci di interpretare le sue narrazioni con la consapevolezza di oggi. L’intento non è quello di soffermarci sulla capacità degli artisti di predire eventi futuri, quanto di riflettere sull’attualità di ricerche e pratiche artistiche nel presentare strumenti critici utili alla comprensione del complesso scenario che stiamo vivendo.