Anche le statue muoiono. Conflitto e patrimonio tra antico e contemporaneo

8 marzo – 29 maggio 2018

A cura di Irene Calderoni, Stefano de Martino, Paolo Del Vesco, Christian Greco, Enrica Pagella, Elisa Panero

Marzo 2018. Gli spazi della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, del Museo Egizio e dei Musei Reali di Torino ospitano una mostra diffusa nata dalla collaborazione tra le tre istituzioni culturali e il Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino (CRAST).

La mostra propone una riflessione sul tema del patrimonio culturale e sulla sua distruzione in alcuni contesti geopolitici, rileggendo il ruolo delle istituzioni museali in relazione alla loro problematica natura, in bilico tra struttura di conservazione e soggetto di appropriazioni storiche. Una selezione di reperti e opere d’arte della collezione del Museo Egizio e dei Musei Reali è messa in dialogo con i lavori di dodici artisti contemporanei, in un orizzonte di indagine scandito da differenti temporalità che interroga la funzione del patrimonio storico-artistico nei processi di costruzione dell’identità culturale.

Il tema della distruzione del patrimonio materiale è centrale nel ciclo Material Speculation: ISIS (2015) dell’artista iraniana Morehshin Allahyari (Tehran, 1985), costituito da repliche di dodici manufatti distrutti dai miliziani dell’ISIS durante l’occupazione di Mosul, nell’Iraq settentrionale. Le opere sono intese dall’artista come strumenti di resistenza e documentazione: prodotte attraverso un software di modellazione e una stampante 3D, contengono al loro interno chiavi usb con le ricerche e i dati del progetto, come capsule del tempo. Oltre alle violenze iconoclaste, vengono messe sotto indagine anche le discipline dell’archeologia e della museologia, come nel caso dell’installazione Fragments (2016) di Ali Cherri (Beirut, 1976). Un tavolo dalla superficie retroilluminata accoglie una serie di manufatti archeologici provenienti da tutto il mondo e acquistati dall’artista tramite case d’asta, in un invito a riflettere sul valore commerciale dei reperti e sui profitti generati dalla loro dispersione. Il tema delle grandi collezioni museali europee e delle storie omesse che le costituiscono ritorna anche con Mshatta-Fassade (2014), la monumentale opera di Mariana Castillo Deball (Città del Messico, 1975). L’installazione è composta da una tenda bianca, lunga più di venti metri, sulla quale è riprodotto il motivo ornamentale delle rovine della facciata di Qasr al-Mshatta, in Giordania. L’opera rintraccia una vicenda intrisa di imperialismo culturale rappresentando la facciata del palazzo costruito nel 744 dal califfo ommayyade al-Walid II e smantellata nel 1903 per essere esposta, dagli anni trenta a oggi, nelle sale del Pergamonmuseum di Berlino.

In un contesto differente e con altre ragioni, in queste settimane le statue tornano a morire. In questo caso oggetto della violenza sono i simboli coloniali di dinamiche di sopraffazione ai danni di soggetti razzializzati, monumenti che, con la loro silenziosa presenza, legittimano la persistenza di un razzismo strutturale.

La settimana scorsa, sull’onda delle manifestazioni nate dalla brutale uccisione di George Floyd da parte di un ufficiale di polizia di Minneapolis, è stata abbattuta a Bristol la statua di Edward Colston, filantropo e schiavista coinvolto nelle tratte della Royal African Company. In altre città sono nate azioni di violenza contro simboli di questo passato e il dibattito su come rinegoziare la presenza negli spazi pubblici di permanenze coloniali e, in Italia, fasciste, si è infiammato nuovamente.

Osservare oggi le prospettive fornite da “Anche le statue muoiono” permette di cogliere importanti sfumature su quanto stiamo vivendo. Riconoscere oggi nel patrimonio materiale un fondamentale strumento per la costruzione di una storia condivisa e di un’identità culturale plurale, ci permette di capire quanto, al negativo, i simboli esposti pubblicamente di una storia di violenza e supremazia siano strumenti in grado di reiterare la stessa narrazione e le medesime dinamiche di potere.

Sedi e artiste/i:

Museo Egizio: Jannane Al-Ani, Morehshin, Allahyari, Kader Attia, Ali Cherri, Mimmo Jodice, Iman Issa, Liz Glynn, Walid Raad, Simon Wachsmuth

Musei Reali Torino: Mariana Castillo Deball

Fondazione Sandretto Re Rebaudengo: Kader Attia, Lamia Joreige, Mark Manders, Simon Wachsmuth

Time Capsule. Una rilettura delle mostre di Fondazione

Time Capsule è un percorso nella storia espositiva della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo che, attraverso la rilettura di una selezione di mostre, si propone di approfondire tematiche, prospettive e questioni che gli artisti hanno affrontato nel passato recente, mettendo in luce la loro rilevanza in relazione agli effetti dell’odierna condizione di isolamento e distanziamento sociale. Ogni lunedì, con la newsletter e sui canali social, verrà raccontata una mostra, dischiusa come una capsula del tempo per permetterci di interpretare le sue narrazioni con la consapevolezza di oggi. L’intento non è quello di soffermarci sulla capacità degli artisti di predire eventi futuri, quanto di riflettere sull’attualità di ricerche e pratiche artistiche nel presentare strumenti critici utili alla comprensione del complesso scenario che stiamo vivendo.