Vulnerabilis 
Gabriele Domenico Casu, Bahar H, Stefano Merlo, Elena Radovix, Dede Varetto
cinque artisti contemporanei interpretano il tema della ferita

Inaugurazione il 19.11.2021
Istituto Superiore di Scienze Religiose
via XX Settembre 83, Torino

La mostra è presentata in occasione del corso interdisciplinare di formazione “Le ferite di Cristo tra teologia e arte”, proposto dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Torino in collaborazione con la Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Belle Arti.

Si tratta di cinque opere d’arte, recentemente realizzate, che attraversano le ferite dell’umano e del sacro, per mezzo della pittura, della scultura e della fotografia.

L’allestimento prende forma nella splendida cappella settecentesca del Polo Teologico Torinese di via XX Settembre 83 ed è visitabile gratuitamente nei seguenti giorni:

venerdì 19 Novembre dalle 18.00 alle 20.00, in occasione dell’inaugurazione;
sabato 20 Novembre dalle 14.30 alle 18.30;
lunedì 22 Novembre dalle 14.30 alle 18.30;
martedì 23 Novembre dalle 14.30 alle 18.30;
mercoledì 24 Novembre dalle 14.30 alle 18.30;
giovedì 25 Novembre dalle 14.30 alle 18.30;

Un progetto a cura di don Alberto Piola e Federica Avanzato
Allestimento a cura di Enrico Zanellati
Testi in mostra di Angelo Mistrangelo

 

SEGNI E IMMAGINI DI INTERIORI LACERAZIONI

                      “Il vento t’incolla la veste sul corpo;

                       ne rivela, d’un colpo, la forma”

                                            Giovanni Testori

I segni indelebili di parvenze figurali, di immediate sensazioni, di sensibilissime rivelazioni scandiscono il dialogo tra narrazione e immagine, struttura del linguaggio e misura dell’essere e del divenire. I cinque artisti che danno vita e forma e contenuti alla mostra “Vulnerabilis”, allestita nella cappella settecentesca del Polo Teologico Torinese, esprimono il senso di interiori intuizioni, di poetiche impressioni, di una visione d’insieme che travalica questa nostra e complessa stagione per consegnare e consegnarci l’essenza di un’intensa ricerca, in cui materiali diversi e diversamente utilizzati delineano emozioni e momenti di un racconto che unisce arte e storia.

E ogni segno, ogni composizione, ogni tensione espressiva stabilisce una connessione con la memoria del tempo, con una rattenuta gestualità, con il fascino penetrante di uno sguardo che percorre il travaglio dell’umanità e, in estrema sintesi, le segrete pulsioni di una descrizione che evoca l'”Ecce homo” di Dede Varetto, racchiuso entro un telo di nylon. E la fissità ieratica del volto appare quale segnale e simbolo dell’inesausta volontà di denunciare gli “inquietanti scenari dei nostri oceani, in cui moltissimi esseri viventi sono vittime della plastica”.

Scenari che assumono la dimensione del Torso del Belvedere, ripreso da Stefano Merlo con tutta la straordinaria potenza del corpo sofferente, dove i buchi sulle gambe e sul torace diventano tracce di una dolorosa condizione umana che lega le pagine di un’antica e classica cultura al nuovo Millennio, le intime meditazioni all’infinito racconto intorno alla bellezza e “la caducità della vita”.

Vi è nei lavori esposti il senso di una singolare spiritualità accompagnata dalla leggerezza della raffigurazione, che nella tavola “Fractio panis” di Gabriele Domenico Casu è affidata all’interpretazione e alla trasfigurazione del “corpo martoriato”, del “corpo spezzato”, in una sorta di rapporto con il “mistero del dolore”, con la figura di Gesù Cristo che, sospesa in rarefatte atmosfere, affiora dalla profondità del nero assoluto. E accanto, il discorso si amplia e completa con l’azione performativa dell’iraniana Bahar H, intitolata “Sasso XL”, che condivide con la pluralità delle persone “il peso del ricordo”. L’artista, distesa sul pavimento, ricoperta da un grande masso, rappresenta le memorie negative e le orme di un passato che incombe “su ogni individuo”. Dalla pietra in cartapesta, composta con i fogli di giornali quotidiani, si approda alle sculture in bronzo di Elena Radovix, che fanno parte integrante del progetto “Corpi Segnanti”. Sono immagini coinvolgenti di traumi subiti, cicatrici che svelano il corpo sfregiano di una donna, trasformato dal dolore fisico e mentale che incide sui percorsi della vita, mentre “Parole, e segni, e immagini” – scrive David Maria Turoldo, in “Canti ultimi” – sono “ringhiere alle nostre solitudini”.

Solitudini di ancestrali ferite, lacerazioni di giorni e notti che trasmettono le fondamentali riflessioni sul valore e il ruolo della società contemporanea, sul cammino che conduce al mistero e alla soglia del portale dell’esistenza.

                                           Angelo Mistrangelo