3 novembre 2017 – 18 febbraio 2018

Novembre 2017. Sulla grande parete, un murale raffigura un palazzo in via di demolizione. Le sue cromie sono virate in fredde tinte violacee. L’edificio è una khrushchyovka, un K-7, il tipico prefabbricato abitativo sovietico ideato agli inizi degli anni sessanta dall’architetto e ingegnere Vitaly Pavlovich su commissione di Nikita Krushev. Le khrushchyovka rispondevano all’emergenza abitativa determinata dalla rampante espansione industriale sovietica, permettendo di allocare un grande numero di persone in tempi brevi e a costi contenuti. Le unità abitative erano progettate sulla base di moduli standardizzati, minimi ed essenziali, pensati per rispondere solo ai bisogni primari degli abitanti. Nelle intenzioni di Krushev, le case popolari avrebbero dovuto essere soluzioni temporanee, in attesa di una matura riconfigurazione del piano urbanistico sovietico. Tuttavia, larga parte dei prefabbricati sono tuttora esistenti e abitati, inalterati nella loro struttura interna, nobilitati solo in superficie dalla ritinteggiatura delle facciate.

La mostra personale di Sanya Kantarovsky individuava in queste architetture, emblema di un abitare imposto e segregato, l’appropriata scenografia per presentare un nuovo ciclo di dipinti, caratterizzato da un immaginario brutale e angosciante. Il titolo della mostra, “Letdown” è tratto da uno dei quadri esposti: una madre china, dal corpo deformato, tiene sulle spalle il figlio ricoperto di rosacea, che si allunga pericolosamente in cerca di un’ultima goccia di latte. Letdown (deludere) indica sia il riflesso fisiologico del corpo materno legato allo stimolo dell’allattamento, sia un profondo sentimento di delusione e frustrazione. La cifra emotiva trovava traduzione, in mostra, nella fisicità dell’architettura quale mezzo di isolamento sociale e negazione dell’individualità. Apriva porte sui vissuti nascosti dietro la facciata dei palazzi, nei quali in molti forse oggi possono vedersi riflessi. Rileggere queste immagini fa pensare a quanto l’emergenza sanitaria stia portando in evidenza le differenti declinazioni di una grave crisi sociale che attanaglia i diversi strati della nostra società.

Allestiti sulle pareti di Fondazione e sopra il murale della khrushchyovka, i quadri di Kantarovsky sembrano costringere i loro soggetti in una condizione di sospesa atomizzazione, e di depressione cronica. Un gruppo di moduli scultorei in metallo disposti nello spazio accentuavano questa sensazione. Le sculture sono repliche in differenti colori delle cherepashki, strutture-gioco a forma di tartarughe installate nell’area verde davanti alla khrushchyovka. Costellano un asettico spazio disabitato di cui sono testimoni solitari. I personaggi delle pitture di Kantarovsky sono donne e uomini, anziani e bambini, vittime di esperienze traumatiche, di cui conservano le tracce sui propri corpi o nelle pieghe psicologiche che traspaiono dai loro volti. Le loro posture sono isteriche e contorte oppure esprimono drammatici momenti di immobile rassegnazione. Come finestre aperte sui molteplici interni claustrofobici della khrushchyovka, i quadri raccontano la violenza che si annida nella sfera domestica e le lacerazioni del tessuto individuale e sociale. Riguardati oggi, sono varchi attraverso i quali esaminare la nostra condizione durante il lockdown, offrendoci in negativo materia di riflessione sui modelli futuri della nostra vita collettiva.

Veduta della mostra “Sanya Kantarovsky. Letdown”, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino, 2017. Courtesy l’artista e Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Photo credit: Sebastiano Pellion di Persano.