Febbraio 2019. Sulle pareti di Fondazione sono esposti dipinti di grande formato dalla superficie irregolare. Il supporto su cui è steso l’olio non è infatti costituito da una tela in lino o in cotone, ma da un tessuto ricavato dalla corteccia dell’albero di Lubugo, materiale utilizzato tradizionalmente nella cultura dell’Uganda per i sudari funebri e oggi parte del commercio di souvenir turistici. La scelta di non impiegare la classica tela per la pittura si iscrive in una serie di procedure, tecniche e stilistiche, che l’artista adotta per suggerire al visitatore una discontinuità rispetto alla tradizione pittorica occidentale ed europea nello specifico. Nei quadri esposti in “The Promised Land” si percepisce infatti una riflessione critica rispetto a figure canoniche, come quella di Paul Gauguin. Lo sguardo esotizzante del pittore francese è riconosciuto come attitudine coloniale del soggetto bianco europeo che l’artista decostruisce per sviluppare una nuova narrazione sulla cultura africana. Armitage ritrae episodi quotidiani, reali e fittizi, che scandiscono la vita privata e collettiva dei cittadini del Kenya, descrivendoli attraverso atmosfere inquiete e seducenti. Alcune pratiche di esercizio del potere, come quella del turismo sessuale rappresentata in Mangroves Dip (2015), sono raccontate per essere problematizzate, in altri casi la finzione permette di individuare atteggiamenti consolidati nella storia dell’arte, come il tema della sessualizzazione dei corpi in Leopard print seducer (2016), in cui una scimmia in posa lasciva indossa un bikini. All’interno della mostra una posizione di rilievo è data a The Fourth Estate (2017), un’ampia rappresentazione dei raduni avvenuti in Kenya nell’agosto 2017, in cui i manifestanti esprimevano la loro dissidenza prima delle elezioni politiche.

In queste settimane numerosi episodi di cronaca hanno canalizzato l’attenzione globale sul tema dei diritti dei soggetti afrodiscendenti e su come ancora oggi questi siano oggetto di pregiudizi e violenze sistemiche negli Stati Uniti e nel resto del mondo occidentale. Osservare il tipo di rappresentazione degli individui e dei corpi non bianchi costruita da soggetti bianchi in differenti discipline umane come l’arte, la letteratura, il cinema, la pubblicità, può essere un efficace metodo per riconoscere quanto siano radicati nella storia quei processi volti a oggettificare, stereotipare e razzializzare che sono oggi messi sotto accusa nelle strade.

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Veduta della mostra “The Promised Land. Michael Armitage”, 2019. Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, foto di Giorgio Perottino

Time Capsule. Una rilettura delle mostre di Fondazione

Time Capsule è un percorso nella storia espositiva della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo che, attraverso la rilettura di una selezione di mostre, si propone di approfondire tematiche, prospettive e questioni che gli artisti hanno affrontato nel passato recente, mettendo in luce la loro rilevanza in relazione agli effetti dell’odierna condizione di isolamento e distanziamento sociale. Ogni lunedì, con la newsletter e sui canali social, verrà raccontata una mostra, dischiusa come una capsula del tempo per permetterci di interpretare le sue narrazioni con la consapevolezza di oggi. L’intento non è quello di soffermarci sulla capacità degli artisti di predire eventi futuri, quanto di riflettere sull’attualità di ricerche e pratiche artistiche nel presentare strumenti critici utili alla comprensione del complesso scenario che stiamo vivendo.