Indagini di un cane
21 ottobre 2009 – 4 marzo 2010

Ottobre 2009. Negli spazi della Fondazione inaugura “Indagini di un cane”, esposizione che nei mesi successivi si sposterà alla Ellipse Foundation di Cascais in Portogallo, alla Maison Rouge – Fondation Antoine de Glabert a Parigi, al Magasin 3 di Stoccolma e alla DESTE Foundation di Atene. La mostra è un progetto di FACE (Fondazione d’Arte per l’Europa Contemporanea), alleanza costituita da cinque istituzioni non-profit per sostenere attività artistiche su scala internazionale.

“Indagini di un cane” presenta i lavori di trentasei artisti provenienti dalle collezioni delle cinque fondazioni, articolando il percorso espositivo a partire da uno spunto narrativo, l’omonimo racconto scritto nel 1922 da Franz Kafka. Il protagonista della storia è un cane che, in crisi d’identità, inizia a ragionare sulla natura di cane e sul concetto stesso di “caninità”, per trovare risposte che riguardano l’intera comunità della sua specie. Nell’assumere la scrittura come spazio di transizione dalla voce individuale a quella collettiva, secondo la l’interpretazione proposta da Gilles Deleuze e Félix Guattari nel saggio Kafka. Per una letteratura minore (1975), la mostra indaga l’utilizzo sovversivo del linguaggio rispetto alle norme prescritte dalla lingua.

Gli artisti coinvolti in mostra riflettono su come l’innovazione linguistica e artistica possa generare le condizioni per agire all’interno di una dimensione politica. Tra le opere presenti in mostra Strike V. II (2005-2007) di Claire Fontaine, segnale al neon con la scritta “strike” (sciopero) – che si spegne alla presenza del pubblico e riaccende quando non percepisce movimenti – suggerisce di adottare lo sciopero come strategia contro il museo inteso quale luogo di potere istituzionale. African-American Flag (1990) di David Hammons, una bandiera statunitense i cui colori sono virati in tonalità tradizionalmente utilizzate nelle bandiere africane, rappresenta un simbolo che non esiste, una rappresentanza invisibilizzata, ma anche uno strumento utile a decifrare una storia socio-politica reale e silenziata. L’opera The Landscape Is Changing (2003) di Mircea Cantor racchiude vari livelli strategici che abbracciano la collettività e “deterritorializzano” il linguaggio. Il video è la documentazione di una performance avvenuta a Tirana in cui un gruppo di manifestanti esegue una marcia silenziosa attraverso le strade della capitale, sostituendo gli usuali cartelli di protesta con superfici riflettenti. La coreografia messa in atto dall’artista sovverte il lessico informativo della manifestazione per comunicare agli astanti non slogan politici, ma frammenti della realtà che li circonda.

In questi mesi di lockdown, poi di progressiva riapertura, una delle frasi che abbiamo incontrato in varie declinazioni sui canali di comunicazione recitava “we won’t return to normality, becase normality was the problem” (non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema). Come alla denuncia politica di Cantor bastava riflettere la realtà per far emergere le sperequazioni sociali, allo stesso modo l’arresto obbligato di questi mesi ci ha messo di fronte a un fermo immagine della nostra società, rendendoci testimoni dei problemi strutturali che questa reitera.